Il diritto all’oblio è il diritto del soggetto – normalmente attinto da un procedimento giudiziario o da altra vicenda che, seppur non sfociata in un giudizio, ha attratto l’interesse della stampa o del web – di essere “dimenticato” a tutela della propria reputazione
Tale diritto viene esercitato attraverso la richiesta di rimozione dal web di link a notizie e contenuti di una vicenda di dominio pubblico, in modo da limitare gli effetti negativi di informazioni non più attuali.
Il diritto all’oblio conferisce, ad esempio, il diritto di far rimuovere notizie relative a procedimenti e/o condanne penali, la cui permanenza non sia legittimata dal diritto di cronaca, dovendosi ritenere che il decorso del tempo priva di rilevanza il fatto in oggetto e conseguentemente affievolisce sino a farlo del tutto venir meno il diritto di cronaca.
Si tratta dunque di eseguire una comparazione fra il diritto alla riservatezza, che è alla base del diritto all’oblio (sebbene se ne differenzi in quanto: “… a differenza del diritto alla riservatezza, non è volto a precludere la divulgazione di notizie e fatti appartenenti alla sfera intima della persona e tenuti fino ad allora riservati, ma ad impedire che fatti, già legittimamente pubblicati, e quindi sottratti al riserbo, possano essere rievocati nella rilevanza del tempo trascorso” (Cass. n. 9147/2020), con il diritto di cronaca, il tutto rapportato alle infinite potenzialità del web, in grado di tener traccia di notizie e di diffonderle potenzialmente nell’intero globo, anche a distanza di moltissimo tempo dall’avvenimento dei fatti cui le stesse si riferiscono.
È’ innegabile, infatti, che con l’avvento di internet e dei social network l’oblio ha assunto dimensioni e natura totalmente nuove e differenti dal passato.
I motori di ricerca consentono di abbinare al solo nome e cognome di una persona collegamenti a notizie, articoli, post, commenti, ecc. risalenti anche a decine di anni prima.
Articoli che ad esempio riguardano un arresto, un’incriminazione, un’intercettazione telefonica, ma che non ricollegano quella notizia ad una successiva archiviazione, assoluzione con formula piena, mancato esercizio di azione penale.
Il diritto all’oblio, come detto, va comparato con quello di cronaca e di informazione.
Per molto tempo, la concreta disciplina e poi tutela del diritto all’oblio era affidato alla giurisprudenza comunitaria (che basava le sue decisioni sul diritto alla tutela della vita privata sancito dall’art. 8 CEDU) e nazionale, che invece poneva a fondamento le norme costituzionali e , in particolare, gli artt. 2, 3 e 21, che hanno ad oggetto i diritti inviolabili, la tutela della persona, il principio di uguaglianza e il diritto di cronaca inteso, secondo la formula costituzionale, come “diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero”.
Sul punto, appare opportuno riportare quanto deciso dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 19681 del 22/07/2019, di cui si trascrive la massima: “In tema di rapporti tra il diritto alla riservatezza (nella sua particolare connotazione del c.d. diritto all’oblio) e il diritto alla rievocazione storica di fatti e vicende concernenti eventi del passato, il giudice di merito, ferma restando la libertà della scelta editoriale in ordine a tale rievocazione, che è espressione della libertà di stampa e di informazione protetta e garantita dall’art. 21 Cost., ha il compito di valutare l’interesse pubblico, concreto ed attuale alla menzione degli elementi identificativi delle persone che di quei fatti e di quelle vicende furono protagonisti. Tale menzione deve ritenersi lecita solo nell’ipotesi in cui si riferisca a personaggi che destino nel momento presente l’interesse della collettività, sia per ragioni di notorietà che per il ruolo pubblico rivestito; in caso contrario, prevale il diritto degli interessati alla riservatezza rispetto ad avvenimenti del passato che li feriscano nella dignità e nell’onore e dei quali si sia ormai spenta la memoria collettiva (nella specie, un omicidio avvenuto ventisette anni prima, il cui responsabile aveva scontato la relativa pena detentiva, reinserendosi poi positivamente nel contesto sociale)”.
Con l’entrata in vigore del GDPR, il diritto all’oblio ha trovato una disciplina specifica nell’art. 17, il quale prevede quanto segue:
“1. L’interessato ha il diritto di ottenere dal titolare del trattamento la cancellazione dei dati personali che lo riguardano senza ingiustificato ritardo e il titolare del trattamento ha l’obbligo di cancellare senza ingiustificato ritardo i dati personali, se sussiste uno dei motivi seguenti:
a) i dati personali non sono più necessari rispetto alle finalità per le quali sono stati raccolti o altrimenti trattati;
b) l’interessato revoca il consenso su cui si basa il trattamento conformemente all’articolo 6, paragrafo 1, lettera a), o all’articolo 9, paragrafo 2, lettera a), e se non sussiste altro fondamento giuridico per il trattamento;
c) l’interessato si oppone al trattamento ai sensi dell’articolo 21, paragrafo 1, e non sussiste alcun motivo legittimo prevalente per procedere al trattamento, oppure si oppone al trattamento ai sensi dell’articolo 21, paragrafo 2;
d) i dati personali sono stati trattati illecitamente;
e) i dati personali devono essere cancellati per adempiere un obbligo giuridico previsto dal diritto dell’Unione o dello Stato membro cui è soggetto il titolare del trattamento; (1)
f) i dati personali sono stati raccolti relativamente all’offerta di servizi della società dell’informazione di cui all’articolo 8, paragrafo 1.
2. Il titolare del trattamento, se ha reso pubblici dati personali ed è obbligato, ai sensi del paragrafo 1, a cancellarli, tenendo conto della tecnologia disponibile e dei costi di attuazione adotta le misure ragionevoli, anche tecniche, per informare i titolari del trattamento che stanno trattando i dati personali della richiesta dell’interessato di cancellare qualsiasi link, copia o riproduzione dei suoi dati personali.
3. I paragrafi 1 e 2 non si applicano nella misura in cui il trattamento sia necessario:
a) per l’esercizio del diritto alla libertà di espressione e di informazione;
b) per l’adempimento di un obbligo giuridico che richieda il trattamento previsto dal diritto dell’Unione o dello Stato membro cui è soggetto il titolare del trattamento o per l’esecuzione di un compito svolto nel pubblico interesse oppure nell’esercizio di pubblici poteri di cui è investito il titolare del trattamento; (1)
c) per motivi di interesse pubblico nel settore della sanità pubblica in conformità dell’articolo 9, paragrafo 2, lettere h) e i), e dell’articolo 9, paragrafo 3;
d) a fini di archiviazione nel pubblico interesse, di ricerca scientifica o storica o a fini statistici conformemente all’articolo 89, paragrafo 1, nella misura in cui il diritto di cui al paragrafo 1 rischi di rendere impossibile o di pregiudicare gravemente il conseguimento degli obiettivi di tale trattamento; o
e) per l’accertamento, l’esercizio o la difesa di un diritto in sede giudiziaria”.
La norma, come appare chiaro dalla sua lettura, non esegue in radice una scelta fra la tutela del diritto all’oblio o del diritto all’informazione, ma lascia all’interprete tale valutazione, dettando tuttavia i paletti entro cui tale valutazione deve essere compiuta.
Particolarmente interessante è la previsione, contenuta nel paragrafo 2, secondo cui il titolare del trattamento che ha reso pubblici i dati personali è tenuto ad “informare i titolari del trattamento che stanno trattando i dati personali della richiesta dell’interessato di cancellare qualsiasi link, copia o riproduzione dei suoi dati personali”.
Come si realizza in concreto la tutela del diritto all’oblio sul web?
Molti professionisti e società di servizi sono attivi nella tutela dei cittadini ed anche delle imprese e li affiancano e rappresentano nell’esercizio del diritto all’oblio.
La prima attività da eseguire è quella di esaminare i motori di ricerca, introducendo varie chiavi di ricerca ricollegabili al nome e cognome dell’interessato ovvero ad altre parole che possano richiamare la notizia di cui si intende far valere il diritto all’oblio.
L’indagine va ovviamente eseguita su diversi motori di ricerca e non soltanto su Google, che ne è il più importante e va estesa anche ai social networks.
Una volta individuati gli articoli, le notizie, i post, ecc. di cui si intende chiedere la cancellazione, è possibile rivolgersi ai motori di ricerca al fine di chiedere la rimozione dell’indicizzazione.
Google mette a disposizione degli utenti le notizie necessarie all’esercizio del diritto al link.
Dalla stessa pagina è possibile accedere, tramite apposito link, a un form o modulo che consente di formulare la richiesta di deindicizzazione.
Il form richiede la compilazione di vari campi, fra cui quello, che evidentemente è il più importante (e per la cui compilazione è opportuna la consulenza di un professionista), che riguarda i motivi della richiesta.
Anche Yahoo prevede una procedura simile. Questo il link per accedere al form.
Va da sé che una simile richiesta può essere formulata anche nei confronti di quei motori di ricerca che non abbiano previsto di fornire agli utenti un modulo ad hoc. Anche in questo caso, ovviamente, sarà necessario motivare adeguatamente la richiesta tenendo conto dei principi come innanzi indicati dalla giurisprudenza per la comparazione fra il diritto all’oblio e quello alla cronaca.
Non è dunque scontato che la richiesta venga accolta.
In caso di mancato accoglimento, all’interessato non resterà che il ricorso al Garante della Privacy (Garante per la protezione dei dati personali) all’indirizzo www.garanteprivacy.it ovvero all’autorità giudiziaria.