Blog

CREDITI DI LAVORO E PRESCRIZIONE: IL TERMINE DECORRE SEMPRE DALLA FINE DEL RAPPORTO DI LAVORO

La Sezione Lavoro della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 26246/2022, ricomponendo il contrasto venutosi a creare nella giurisprudenza di merito, ha stabilito che la prescrizione dei crediti di lavoro decorre dalla conclusione del rapporto di lavoro anche per quei rapporti in cui trova applicazione l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori tradizionalmente ritenuti assistiti dalla c.d. “tutela reale”.

La Riforma Fornero, modificando l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, ha indirettamente modificato anche le regole che, sino a quel momento, regolavano la prescrizione dei crediti di lavoro.

Invero, la Corte Costituzionale – in particolare con le sentenze n. 86/1971 e. n. 174/1972 -aveva introdotto il principio del differimento del decorso della prescrizione, facendola iniziare dal giorno della cessazione del rapporto di lavoro, nelle sole ipotesi in cui il rapporto non era assistito da c.d. stabilità reale in caso di licenziamento illegittimo. Si prevedeva, dunque, un trattamento differenziato a seconda che il lavoratore fosse o meno alle dipendenze di un datore di lavoro con più di 15 lavoratori: nel primo caso la prescrizione decorreva durante lo svolgimento del rapporto, mentre, per chi prestava attività lavorativa presso datori che occupavano sino a 15 dipendenti, la prescrizione cominciava a decorrere dopo la cessazione del rapporto.

Il differente trattamento era giustificato dal fatto che, mentre i primi non potevano temere un licenziamento ritorsivo, in caso di esercizio dei propri diritti nel corso del rapporto, in quanto l’art. 18 garantiva loro la stabilità del posto di lavoro, i secondi, potendo aspirare, anche in caso di licenziamento illegittimo, esclusivamente a un ristoro economico, erano tutelati con la possibilità di veder decorrere il termine di prescrizione soltanto a partire dalla cessazione del rapporto di lavoro.

Il principio affermato dalla Consulta si è andato poi consolidando nella giurisprudenza di merito e di legittimità.

Nel quadro giurisprudenziale e normativo così stabilizzatosi, risalente ormai a oltre quarant’anni fa, si sono inserite le novità in tema di licenziamento introdotte dapprima dalla riforma Fornero (L. n. 92/2012) e dal successivo Jobs Act sui licenziamenti (D.Lgs. n. 23/2015), che hanno inciso notevolmente, limitandola, sulla reintegrazione nel posto di lavoro.

Nella giurisprudenza di merito ci si è interrogati sulla possibilità di continuare a considerare vigente la regola del differimento del termine di prescrizione limitatamente ai rapporti di lavoro alle dipendenze di datori di lavoro con meno di quindici dipendenti ovvero se estenderla a tutti i rapporti di lavoro.

A fronte del contrasto di giurisprudenza registrato presso i Giudici di merito, è intervenuta la S.C. con la richiamata decisione dell’ottobre 2022, affermando il principio di diritto sintetizzato nella seguente massima: “Il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, così come modulato per effetto della L. n. 92 del 2012 e del D.Lgs. n. 23 del 2015, mancando dei presupposti di predeterminazione certa delle fattispecie di risoluzione e di una loro tutela adeguata, non è assistito da un regime di stabilità. Sicché, per tutti quei diritti che non siano prescritti al momento di entrata in vigore della L. n. 92 del 2012, il termine di prescrizione decorre, a norma del combinato disposto degli artt. 2948, n. 4 e 2935 c.c., dalla cessazione del rapporto di lavoro. Conseguentemente la prescrizione dei crediti lavorativi decorre dalla conclusione del rapporto di lavoro anche per quei rapporti in cui trova applicazione l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori”.

I Giudici di Piazza Cavour, dopo un excursus storico della disciplina della prescrizione dei crediti di lavoro, hanno affermato che “perchè del regime di stabilità o meno del rapporto lavorativo, ai fini di immediata e semplice individuazione del termine di decorrenza della prescrizione (in costanza di rapporto, nel primo caso; ovvero soltanto dalla sua cessazione, nel secondo), si abbia una chiara conoscibilità, in via di generale predeterminazione, occorre che esso risulti: a) fin dal momento della sua istituzione, qualora si tratti di un rapporto esplicitamente di lavoro subordinato a tempo tanto indeterminato, quanto determinato (in caso di successione di due o più contratti di lavoro a termine legittimi, per la decorrenza del termine di prescrizione dei crediti retributivi previsto dagli artt. 2948, n. 4, 2955, n. 2 e 2956, n. 1 c.c. dal giorno della loro insorgenza, nel corso del rapporto lavorativo e alla cessazione del rapporto, per quelli che maturino da tale momento, in ragione dell’autonoma e distinta considerazione dei crediti originati da ogni contratto, senza alcuna sospensione della prescrizione negli intervalli di tempo tra l’uno e l’altro, per la tassatività delle cause sospensive previste dagli artt. 2941 e 2942 c.c.; non sussistendo in tali casi il metus del lavoratore verso il datore, siccome presupposto da un rapporto a tempo indeterminato non assistito da alcuna garanzia di continuità: Cass. s.u. 16 gennaio 2003, n. 575; Cass. 5 agosto 2019, n. 20918; Cass. 19 novembre 2021, n. 35676); b) parimenti, qualora il rapporto sia stato stipulato tra le parti con una qualificazione non rappresentativa della sua effettività, priva di garanzia di stabilità, la quale sia poi accertata dal giudice, in relazione al concreto atteggiarsi del rapporto stesso nel corso del suo svolgimento, non già alla stregua di quella ad esso attribuita dal giudice all’esito del processo, con un giudizio necessariamente ex post (Cass. s.u. 28 marzo 2012, n. 4942; Cass. 12 dicembre 2017, n. 29774).  Infatti, l’individuazione del regime di stabilità (o meno) del rapporto lavorativo, ai fini qui d’interesse, in base alla qualificazione ad esso attribuita dal giudice, con un giudizio necessariamente ex post, contraddice radicalmente quei requisiti di chiara e predeterminata conoscibilità ex ante, coerente con l’esigenza di certezza sopra illustrata, per l’affidamento di una tale selezione, delicata e fondamentale, al pernicioso criterio del “caso per caso”, rimesso di volta in volta al singolo accertamento giudiziale, fonte di massima incertezza e di destabilizzazione del sistema”, per poi aggiungere ”Ebbene, così ricostruito il quadro normativo, significativamente modificato rispetto all’epoca in cui la giurisprudenza costituzionale e di legittimità ha individuato (ai superiori p.ti 4 e 4.1.) l’essenziale dato di stabilità del rapporto nella tutela reintegratoria esclusiva del L. n. 300 del 1970 art. 18, non pare che esso assicuri, sulla base delle necessarie caratteristiche scrutinate, una altrettanto adeguata stabilità del rapporto di lavoro. Sicchè, deve essere ribadito che la prescrizione decorra, in corso di rapporto, esclusivamente quando la reintegrazione, non soltanto sia, ma appaia la sanzione “contro ogni illegittima risoluzione” nel corso dello svolgimento in fatto del rapporto stesso: così come accade per i lavoratori pubblici e come era nel vigore del testo dell’art. 18, anteriore alla L. n. 92 del 2012, per quei lavoratori cui la norma si applicava. A questa oggettiva precognizione si collega l’assenza di metus del lavoratore per la sorte del rapporto di lavoro ove egli intenda far valere un proprio credito, nel corso di esso: caratterizzato dal regime di stabilità comportato da quella resistenza che assiste, appunto, il rapporto d’impiego pubblico. Non costituisce, infatti, garanzia sufficiente, come invece ritenuto dalla Corte d’appello di Brescia (dal secondo capoverso di pg. 5 al terz’ultimo di pg. 6 della sentenza), il mantenimento della tutela reintegratoria, tanto con la L. n. 92 del 2012 (art. 18, comma 1), tanto con il D.Lgs. n. 23 del 2015 (art. 2, comma 1), per il licenziamento (non tanto discriminatorio, impropriamente richiamato in proposito, oltre che non correttamente equiparato al licenziamento intimato “per ritorsione, e dunque discriminatorio”: al sesto alinea del secondo capoverso di pg. 5 della sentenza; ma soprattutto) ritorsivo, sul presupposto di un motivo illecito determinante ai sensi dell’art. 1345 c.c. (non necessario per il licenziamento discriminatorio: Cass. 5 aprile 2016, n. 6575; Cass. 7 novembre 2018, n. 28453)… In via conclusiva, deve allora essere escluso, per la mancanza dei presupposti di predeterminazione certa delle fattispecie di risoluzione e soprattutto di una loro tutela adeguata, che il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, così come modulato per effetto della L. n. 92 del 2012 e del D.Lgs. n. 23 del 2015, sia assistito da un regime di stabilità”

In conclusione, deve affermarsi che: “Da ciò consegue… la decorrenza originaria del termine di prescrizione, a norma del combinato disposto degli artt. 2948, n. 4 e 2935 c.c., dalla cessazione del rapporto di lavoro per tutti quei diritti che non siano prescritti al momento di entrata in vigore della L. n. 92 del 2012”.